CAMPAGNA Venerabili confraternite Monte dei Morti della Beata vergine del Carmelo e SS. Nome di Dio

Una famosa poesia di Totò descrive la morte come una livella che cancella ogni differenza e rende tutti uguali di fronte al destino. Eppure, anche nella morte, o quanto meno nelle sue manifestazioni esteriori, emergono significative differenze. Si pensi al corteo funebre, di solito assai semplice per le persone comuni e sfarzoso per imperatori, reali, aristocratici, uomini di stato, ricchi borghesi etc.. In alcune zone del sud Italia un tempo persino i rintocchi delle campane a morto distinguevano l’importanza del defunto: forti e pieni per i ricchi e meno per i poveri, più numerosi per gli uomini e meno per le donne.

Per quanto riguarda le sepolture, i potenti e i ricchi, religiosi o meno, avevano assicurata degna inumazione nei luoghi di culto, sotto la navata delle chiese e delle cattedrali o all’interno di esse in cappelle private con elaborati monumenti funebri.

Nelle epoche passate era consuetudine seppellire i morti nei luoghi sacri poiché si credeva salvifica la vicinanza alle reliquie dei santi e alle icone. La sepoltura in chiesa era in assoluto l’usanza più diffusa, anche per la gente comune.  Attraverso le botole dei pavimenti il cadavere veniva calato nelle fosse dei sotterranei. Queste si riempivano di cadaveri in putrefazione che poi dovevano essere periodicamente sgombrati. Addetti svolgevano queste pericolose e nauseabonde funzioni. I resti venivano ripuliti e ammucchiati in ordine nelle celle laterali, negli scantinati delle chiese dove spesso ancora giacciono. Possiamo immaginare il rischio biologico di queste fosse, ancora presenti sotto le chiese, e l’odore che esalassero. Fu per l’appunto per ragioni igienico sanitarie che il 12 giugno 1804 Napoleone Bonaparte emanò il Décret impérial sur les sépultures, conosciuto come Editto di Saint Cloud, il quale si vietava seppellire i morti nelle chiese e, comunque, entro le mura cittadine. Fu l’atto che diede il via alla nascita di aree destinate alla sepoltura fuori dalle città, ovvero degli odierni cimiteri. In realtà già esisteva qualcosa di simile nel mondo antico, come le necropoli, vere e proprie “città dei morti” (necropoli vuol dire letteralmente questo), di cui quelle etrusche sono un fulgido esempio. La vera differenza sta nel fatto che prima non vi era alcuna regolamentazione organica e generale delle sepolture e nessuna attenzione all’aspetto biologico sanitario.  Il popolo non accolse bene il divieto poiché, come detto, credeva nel valore salvifico della sepoltura nei luoghi sacri. Tuttavia, non si tornò indietro. Anche dopo la restaurazione del potere borbonico nel Regno delle due Sicilie, Ferdinando preferì mantenere il divieto per le anzidette ragioni sanitarie. Si concesse di contro la edificazione di cappelle funerarie private nelle aree cimiteriali.

Fu anche affinché fosse assicurata una degna sepoltura a tutti e l’anima del defunto potesse riposare in pace in attesa del giudizio che nacquero le confraternite. Infatti, tra gli scopi delle confraternite vi erano le cosiddette opere di misericordia, spirituali e corporali, tra cui è annoverata: seppellire i morti. Sebbene siamo abituati per lo più a vedere i confratelli sfilare in processione nella Settimana Santa, le confraternite non nascono, o comunque non solo, per essere custodi e portatrici delle icone della passione di Cristo, ma anche con lo scopo di dare una sepoltura dignitosa a chi non può permettersela. In un’epoca in cui i corpi spesso venivano gettati in fosse comuni, queste antiche associazioni garantivano una fine dignitosa a tutti. Che questa opera materiale fosse tenuta in grande considerazione è testimoniato dalle denominazioni di queste congreghe che hanno spesso il nome “morte” all’interno. 

Cosa sono le confraternite e come nascono?

Le confraternite sono associazioni di fedeli istituite a mezzo di un formale decreto (erezione canonica) dell'autorità ecclesiastica. A differenza delle congregazioni, i membri non prendono voti e non vivono insieme. Sebbene vi siano tracce già nel VIII sec., in Italia si fanno risalire al XII secolo, periodo nel quale ebbero grande diffusione. Molte confraternite derivano da movimenti mistici, come i flagellanti o i battenti, chiamati a seconda degli abiti indossati: bianchi, incappucciati etc.

Le confraternite cattoliche presentano: un Santo o un mistero della fede cui la confraternita è dedicata; uno scopo ben individuato definito da perseguire; uno statuto che regola i rapporti interni tra i suoi iscritti; un particolare abito liturgico per i confratelli e consorelle. La confraternita può avere sede in una chiesa o in un oratorio, oppure un altare della chiesa parrocchiale o di altra chiesa (santuario, convento, ecc.) della località dove la confraternita opera.

Trovano regolamentazione nel titolo V del Codice di diritto canonico denominato: “Le Associazioni dei fedeli” (canoni 298-329).  Le confraternite sono gestite da un'amministrazione denominata governo formata da: un Priore; un vicario del priore; assistenti" od officiali, quali segretario, cassiere, provveditori, fiscale ecc.; un gruppo di consiglieri o governatori. Esse devono avere un sacerdote o religioso (debitamente nominato dall'autorità ecclesiastica competente) quale Assistente Spirituale, il cui compito non è di seguire il sodalizio, celebrare i suoi atti di culto, guidare la vita spirituale della confraternita e dei suoi singoli iscritti; tale nomina può seguire alcune indicazioni provenienti dalla Confraternita stessa, quali ad esempio una rosa di nomi ovvero la richiesta di scegliere un appartenente a uno specifico ordine religioso. 

Ancora oggi all’interno delle chiese, nei monumenti funebri, nelle cripte delle cappelle private, sotto i pavimenti delle navate riposano le tantissime persone, vissute nei secoli passati. Il culto dei morti, molto elaborato alle nostre latitudini e tuttora sotto l’influenza di antichissime consuetudini, ci dice molto del nostro passato. Ed è proprio studiando il mondo legato al culto dei dei morti e visitando queste antiche confraternite che si aprono orizzonti. Nelle loro sedi vi è la più autentica e sedimentata parte di questa eredità. 

Il territorio campano offre un notevolissimo patrimonio nel genere. Vi invitiamo ora a scoprire un borgo di rara bellezza, incastonato tra le montagne del massiccio Picentino, immerso nei boschi e percorso da fiumi: Campagna. Ricadente nella provincia di Salerno, deriverebbe il nome da finibus Campaniae, termine usato fino ai primi anni dell'XI secolo per identificare i territori posti presso il fiume Sele al confine con la Campania. Sotto l’influenza longobarda prima e normanna poi, fu feudo degli Orsini e dei Grimaldi di Monaco. Nel 1545 a Campagna venne fondata la prima tipografia dell'attuale territorio salernitano, da Giovan Antonio De Nigris e Marco Fileta Filiuli nel Palazzo Tercasio (convento delle clarisse dei SS. Filippo e Giacomo), legata inizialmente alle lezioni che si tenevano nel convento dei domenicani di San Bartolomeo, dove i due fondatori insegnavano, unitamente ad altri illustri intellettuali, tra cui Giulio Cesare Capaccio. L'arte della stampa, che nel secolo XVI aveva raggiunto un alto livello con il De Nigris e il Filuli, sarebbe arrivata a particolare splendore alla metà del Seicento, ad opera del vescovo Juan Caramuel y Lobkowitz, che impiantò una nuova tipografia, dove videro la luce rare e pregevoli edizioni, con una produzione di testi che proseguì fino al 1673. Di questa illustre eredità non vi è quasi più traccia. 

Negli anni della seconda guerra mondiale, due ex strutture conventuali del paese vennero adibite a campo di internamento per ebrei: l'ex Convento dei Frati Domenicani di San Bartolomeo (riservato ai maschi) e l'ex Convento degli Osservanti della Concezione (riservato alle donne). Il campo operò tra il 1940 e il 1943, ospitando alcune centinaia di profughi. Nei giorni del passaggio del fronte nel settembre 1943, gli internati fuggirono sui monti con l'aiuto della popolazione locale fino all'arrivo dell'esercito alleato, sfuggendo così alla cattura. Per il sostegno offerto agli internati durante il periodo di internamento coatto e al momento della liberazione, la popolazione di Campagna ha ricevuto medaglia d’oro al merito civile della Repubblica Italiana. Di ciò rimane splendida testimonianza nel Museo della Memoria istituito presso il convento di. S. Bartolomeo, che vi invitiamo caldamente a visitare. 

alcuni scorci del borgo di Campagna

Proprio nell’oratorio del complesso conventuale di S. Bartolomeo Apostolo di Campagna fu costituita l’11 giugno 1593 la Confraternita del SS. Nome di Dio. Il notaio Lucio Perrotti si recò in tale data nel convento dei Domenicani per stipulare l’atto notarile. In tale atto i Domenicani concessero l’arca dell’attuale cappellone e dell’oratorio annesso, sul quale essi avevano già iniziato la base del campanile. Consegnarono il Crocifisso svestito e privo di velo e si riservarono il diritto della sepoltura sotto l’oratorio della erigenda Confraternita. Tredici nobili campagnesi firmarono l’atto notarile con i monaci e si impegnarono a realizzare quanto stabilito: demolire il vecchio altare e costruirne uno nuovo sul quale mettere il Crocifisso,  fabbricare l’oratorio sotto al quale edificare il luogo della sepoltura.

La congrega venne dotata fin dalla sua origine dalle più illustri famiglie di Campagna, di un notevole patrimonio. “Nell’onciario del 1741 possedeva un latifondo a Pariti di circa 200 tomoli di terreno, un bosco ceduo a Visciglito e Serroni, una selvacedua alla Ripa della Guardia, trappeti a Portafiera e case a Casalnuovo, a Costa Torre e san Bartolomeo”.  

Sull’origine del Crocifisso della chiesa di San Bartolomeo vi sono diverse leggende. La più accreditata narra che un eremita da Eboli, di nome Giorgio Iorio, nel mese di giugno del 1236, si isolò in una caverna del monte degli Alburni per pregare e fare penitenza. L’eremita in un afflato mistico scolpì, nonostante inesperto nell’arte scultorea, una testa del Cristo morto di rara bellezza ed espressività. Molto tempo dopo, nel 1369, un gruppo di briganti provenienti da Postiglione arrivò a Campagna per rubare la “testa di Jesu” di Giorgio Iorio, donata ai domenicani, attirati dalle leggende sul magico potere della scultura. Tuttavia, non la trovarono e per vendetta decapitarono il Crocifisso scolpito dall’ebanista campagnese Poro. Nessuno, però, riuscì a farne una simile, neppure i discepoli del maestro Poro. Il Crocifisso rimase per molti anni senza testa finché nel 1387 il priore dei domenicani, tal fra Luigi, prese la testa fatta dall’eremita Iorio e la depose sul Crocifisso decapitato. Fra lo stupore dei presenti la testa si mantenne sul corpo e non fu possibile più rimuoverla. Tutti allora gridarono al miracolo.

Prima del 1228, dove ora sorge il complesso di S. Bartolomeo, v’era una chiesetta-cimitero dedicata a Santa Maria, che era adibita principalmente a luogo di sepoltura dei nobili personaggi campagnesi. Su questa fu costruita, con l’autorizzazione e l’aiuto economico del feudatario dell’epoca, la chiesa di San Bartolomeo. Nel 1400 i Domenicani la chiedono ripetutamente in uso, per potervi costruire accanto un grande cenobio ed essere più vicino alla popolazione, che, nel frattempo, si era allontanata dagli antichi casali e dal Castello. Nel 1449 con la bolla di erezione del convento del papa Niccolò V s’iniziò a demolire gli antichi fabbricati, per erigere l’attuale Chiesa e l’imponente Monastero. 

L’altare ligneo, di autore ignoto, è interamente dorato in oro zecchino. Al centro dell’altare, sempre con le stesse caratteristiche di modellato ad altorilievo, vi è posta una croce latina che funge da portellone alla nicchia che custodisce il Crocifisso del SS. Nome di Dio.

Chiesa, oratorio e cripta

Per gentile concessione della Confraternita: foto della nicchia e della esposizione del crocifisso.

 

Nel cimitero-ossario della confraternita del Santissimo Nome di Dio, tra i tanti corpi seppelliti nel corso dei secoli, ci sono anche alcuni morti durante l'epidemia di peste del 1656. In una cripta sotto l'oratorio, che annovera scolatoi, vecchie bare e diversi corpi, si distinguono bene due figure mummificate i cui resti si sono conservati in maniera prodigiosa: Monsignor D’Avila con accanto il vescovo Marco Lauro che fu segretario nel Concilio di Trento.

Mons. Giuseppe Maria Avila, padre domenicano, era il nipote del cardinale Datario Cecchini. Fu nominato Vescovo di Campagna e Satriano il 12 aprile 1649. La sua carica fu assai travagliata e funestata da molti accadimenti come i tumulti popolari di Masaniello, la cui eco arrivò fino a Campagna con disordini (fu dato fuoco all’archivio vescovile) ed omicidi. Poi arrivò anche la grande peste del 1656 che falcidiò la popolazione di Campagna, scesa sotto le mille unità. Monsignor D’Avila si prodigò per i suoi fedeli, ma rimase vittima anch’egli della “morte nera”. I suoi compaesani lo misero su una sedia ancora vestito dei suoi paramenti sacri e lo portarono nella cripta della Chiesa di San Bartolomeo ed è lì, nella medesima posizione, da allora. Si notano, come cristallizzati nel tempo, tutti i particolari: i paramenti sacri scoloriti, i calzari, i bottoni, la cintura, il colletto bianco, la sottana viola, il cappotto scuro. 

Cripta Confraternita SS. Nome di Dio

Attraversando il "Ponte dei Preti" sul fiume Tenza, si accede alla Galleria del Soccorpo nella parte inferiore del fianco della Cattedrale realizzata durante la feudalità dei Principi di Monaco. Sui lati della galleria vi sono gli ingressi della Collegiata di S. Maria della Pace e della Chiesa di S. Maria del Carmelo o Monte dei Morti, entrambe impreziosite da splendidi portali.

A destra si entra nella chiesa a navata unica del Monte dei Morti, oratorio della confraternita. Funzionante agli inizi del secolo XVII la confraternita Monte dei Morti Beata Vergine del Carmelo è stata eretta canonicamente il 7 agosto 1627 con il precipuo scopo di “coltivare il culto dei morti, affinché possano ascendere al Paradiso dopo la purgazione delle anime per mezzo di preghiere”.

La Confraternita si è ricostituita nel 1997 e da allora è stata molto attiva portando a compimento numerosi lavori di restauro e allestendo un museo di paramenti e testi sacri. Dal 1999 sono state riportate alla luce le antiche mura della chiesa di Santa Maria della Giudeca, dove è stato ritrovato una parte di affresco risalente al sec. XII ed è stato riaperto, in parte, l’antico cimitero della città. La confraternita sfruttava le fondazioni dell’edificio religioso allo scopo di dare degna sepoltura, non solo ai confratelli ed ai religiosi, ma anche alla gente comune.

La volta della chiesa è di un bel azzurro cielo sorretta da paraste; alla base delle volte decorate nel '700 da stucchi che raffigurano: lo Spirito Santo; l'ideogramma dell'Ave Maria coronato e contornato da festoni floreali e cherubini; il terzo riquadro riproduce il Monte Carmelo, con da una croce avente alla base un teschio (chiaro richiamo al culto dei morti), contornata da cherubini mentre dal sommo escono le anime nel Purgatorio tra cui un alto prelato a testimonianza del fatto che tutti devono espiare le colpe per entrare in paradiso. Nei medaglioni sono riconoscibili il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria, i Martiri, la vita e la vita ultraterrena. 

Sul fondo della chiesa i sedili in legno a schiera del coro, opera di Mariano Cuocolo, sono sovrastati da busti in carta pesta delle Anime del Purgatorio. In alto l'organo sostenuto da colonne circolari in legno, realizzato nel XVIII secolo e ritinteggiato nel secolo seguente sono a posto unico. Il transetto di sinistra funge da Cappella mentre l'altro transetto da accesso al deposito e alla Sacrestia. Nella Sacrestia un grande armadio, con ante e cassettoni entro cui si conservano gli arredi sacri per il culto, le vesti e le insegne dei confratelli con sopra un busto dell'Eterno Padre (del XVI secolo e di provenienza ignota). L'Archivio conserva antichi manoscritti e libri a stampa con copertine finemente lavorate e borchiate. Sotto una finestra si ammira un lavabo in pietra datato 1771. 

Chiesa ed oratorio Confraternita Monte dei Morti

Il cimitero si sviluppa sotto tutto il perimetro e in camere chiuse nel lato destro della chiesa. Si accede attraverso una botola con scale in pietra che conducono inizialmente uno scolatoio e poi ad ambienti via via più tetri ed oscuri dove sono ammucchiate cataste di ossa umane.  

Antico Cimitero

Visitare questi luoghi antichi va al di là della semplice conoscenza e del turismo culturale. E' un’esperienza trascendentale che mette in contatto con il nostro inconscio collettivo, il nostro vissuto più profondo che ci chiama e ci rammenta della precarietà della vita e di tutte le cose, invitandoci ad usare bene la cosa più preziosa che abbiamo: il nostro tempo.

 

Le notizie storiche sulle confraternite sono tratte dalle pagine ufficiali, i cui link sono sotto riportati, e necessariamente semplificate e sintetizzate. Invitiamo a visitarle per informazioni più complete.

Vogliamo nuovamente e pubblicamente ringraziare il Priore della confraternita SS. Nome di Dio, Alberto Falcone, per la squisita ospitalità e cortesia dimostrataci