E’ ormai sera a Castelnuovo, dalla valle arriva un vento gelido che ha fatto ulteriormente abbassare la temperatura. L’unica piazza del paese si è riempita di persone, ma si ode solo un lieve brusio che rivela che la tensione è alta. Tutti guardano verso la strada lastricata di pietra che dalla piazza si inerpica verso la parte alta del paese e la montagna. La illumina la luna che spunta dietro una leggera nebbia e sembra indicare, come i riflettori di un palcoscenico, da dove arriverà la “bestia”. E’ tutto pronto per il rito che si consuma ogni anno, l’ultima domenica di carnevale, da tempo immemorabile: il rito dell’uomo cervo o, come lo chiamano qui, Gl’Cierv.
L'origine di questo rito rimane oscura anche se sul suo significato etnologico ed antropologico si sono spesi fiumi di parole, in particolare sulle similitudini con le antiche culture nord europee profondamente legate ai cicli della terra e della natura. Il passaggio dai mesi invernali a quelli primaverili era, ed è, per le popolazioni rurali un momento assai delicato e carico di promesse: la fine dei rigori invernali e l’inizio di un percorso che porterà all’estate ed ai raccolti che dovranno sfamare fino al prossimo ciclo. Il rito dell’uomo cervo è in parte anche legato al cruento mito dionisiaco, nel quale risulta indispensabile per la rinascita che ci sia una morte sacrificale. Morte e rinascita in un eterno ciclo che si perpetua.
Perché scegliere come simbolo proprio il Cervo, in un territorio di montagne e boschi come quello di Castelnuovo, regno quindi di tanti animali selvatici come orsi, lupi, stambecchi. Probabilmente perché il cervo fornisce l’immagine dell'animale forte e libero, con il suo grande palco che lo fa apparire ancora più maestoso. Peraltro, il cervo muta le corna ogni anno e questo richiama proprio i cicli vitali. E questi palchi possono essere ritrovati nei boschi. Alcuni osservano che è proprio “tale circostanza potrebbe essere all'origine della scelta del cervo quale protagonista del Carnevale del paese. Potrebbe supporsi che un antico interprete della pantomima, un giorno abbia aggiunto delle corna di cervo al semplice abbigliamento fatto di pelli di capra e campanacci.” L'Uomo Cervo di Castelnuovo, secondo l'interpretazione che ne danno gli anziani del luogo, porta caos e disgregazione e quindi rappresenta il male. La sua uccisone allontana le influenze nefaste, assicura la pioggia e abbondanti raccolti e nel contempo lo purifica proprio perché è un sacrificio necessario.
Gl’ Cierv è comunque un rito molto complesso che coinvolge i membri della piccola comunità. Sono molti i personaggi simbolici coinvolti nella pantomima.
Il principale, come detto, è il Cervo vestito di pelli di capra, volto e mani dipinte di nero, vistose corna di cervo sul copricapo anch’esso di pelle di capra, e molti campanacci legati intorno al corpo con cinghie di pelle. Al suo fianco c’è la Cerva, molto più piccola senza il grande palco ma anch’essa alquanto aggressiva.
Poi c’è il Martino, un personaggio bizzarro che sembra uscito da un film di Fellini, vestito tutto di bianco con corpetto, pantaloni e mantello; ai piedi le tipiche “ciocie” marroni a punta ricurva e con un bizzarro copricapo a forma di alto cono anch’esso bianco. Nella mano stringe una fiaccola e nell’altra un bastone con cui affronterà i cervi catturandoli e mettendoli alla corda.
Poi c’è il Cacciatore che imbraccia un fucile e con due colpi precisi abbatte i cervi. Fatto ciò però instilla nei loro corpi un soffio vitale che rianima le due bestie portandoli ad una nuova vita.
Gli Zampognari accompagnano con melodie ancestrali l’ingresso del cervo e accompagnando il susseguirsi degli eventi.
I Lupi Mannari danno inizio alla cerimonia con l’inquietante suono dei loro tamburi, anticipano l’arrivo delle Janare aizzate dal Maone.
Le Janare sono malefiche creature che indossano una maschera, vesti nere e capelli di paglia che agitano nelle danze sfrenate. Hanno dei campanacci con cui fanno molto rumore. Il loro ingresso è una corsa disordinata ed urlante nel centro della piazza dove intorno ad un falò eseguono il loro malefico rito accompagnate dal suono delle percussioni dei lupi.
Janare e Lupi mannari sono parte della tradizione Castelnovese. Qui vi è, infatti, una radicata credenza che i bambini nati nella notte tra il 24 e il 25 dicembre sono destinati a diventare Lupi Mannari, mentre le bambine Janare.
Il Maone malefico personaggio ricoperto di pelli di capra, indossa una maschera e agita un bastone, annunciando e guidando la macabra danza delle Janare.
La popolana vestita con il tradizionale costume locale incarna al gente del luogo e il suo legame profondo della piccola comunità con la terra. La popolana simboleggia la quotidianità, che viene sconvolta dalla forza selvaggia della natura, a sua volta simboleggiata dall’arrivo dei cervi. La popolana offre del cibo ai cervi catturati da Martino cercando di stabilire un contatto tra il mondo degli uomini, costantemente minacciato dalle forze imprevedibili della natura e quest’ultima.
Ecco arrivato il momento. La tensione è alle stelle. All’improvviso scende il silenzio e un gruppo di strani esseri (Lupi Mannari) con i tamburi scende verso la piazza. Poco dopo, sempre dalla collina, precedute da un essere demoniaco armato di bastone (il Maone), arriva un gruppo di sfrenate megere (le janare) che corrono gridando e d agitando i campanacci nel centro della piazza attorno al fuoco. Questa danza frenetica dura svariati minuti prima che Janare e Lupi di dileguino. Scende dalla collina adesso il gruppo di zampognari che con la loro antica nenia preannunciano l’evento più atteso: l’arrivo dell’uomo cervo. Eccolo, apparire enorme con le sue grandi corna in silhouette contro la luce della luna (un riflettore in cima alla strada), quasi come una visione nella nebbiolina fitta. Il Cervo scende nella piazza, fra la gente del paese, distruggendo tutto ciò che incontra, sfogandosi sui sacchi di fieno che trova sul cammino e urlando furiosamente. Dopo poco il cervo si ferma, ha intravisto arrivare la cerva ed inizia una danza d’amore tra le due bestie. Poi entrambi, riprendono a spaventare la gente con urla e corse sfrenate finché sulla collina non appare un personaggio fantasmagorico, il Martino che li affronta in un duello, riuscendo poi a domarli e metterli alla corda. Scende adesso in piazza la popolana in abiti tradizionali con un cesto sul capo e cerca di fare amicizia con le bestie offrendo loro del cibo. Siamo quasi all’epilogo, si sta per consumare il sacrificio che culmina con l’uccisione del cervo e della sua compagna. Scende per ultimo dalla strada il cacciatore armato di fucile. Si piazza a distanza dai due cervi che lo osservano interdetti. IL primo colpo è per il cervo che stramazza al suolo; poi anche la cerva segue il destino di morte del compagno. Ora il cacciatore libera i due cervi dalle corde e gli infonde nuova vita. Come d’incanto, il cervo e la cerva si alzano e tenendosi per mano vanno via verso la montagna per una nuova vita. Un contadino getta semi di grano sulla folla per simboleggiare la fine del rito e l’abbondanza dei futuri raccolti.
Questa splendida comunità vi aspetta. L’ultima domenica di carnevale, a Castelnuovo al Volturno in Molise: se non lo avete fatto, andateci. Da qualunque parte veniate vale assolutamente il viaggio