“Erano sei madonne, sei sorelle… no, sette! Sei o sette? Sei, sette, tre. Tutte belle; una sola era brutta e perciò se ne andò sulla montagna di Montevergine. Disse: io sono la più brutta di tutte le mie sorelle, chi vuole venire da me deve camminare assai. Era la più bella.”
Sono le 8.30 di domenica 2 febbraio, il cielo è grigio piombo ed un vento gelido sferza il piazzale davanti alla funicolare di Mercogliano. Lo sguardo si dirige lungo il ripido profilo della montagna, la cui sommità si perde nella fitta nebbia.
Dalle prime luci del mattino c’è una grande confusione, migliaia di persone in fila formano un serpentone lunghissimo, in attesa di poter salire i 734 mt di dislivello fino all’abbazia. Solo sette minuti e 1.669,25 mt. di percorrenza, ma che oggi hanno il sapore dell’esodo. È il richiamo, il potente richiamo della madonna nera di Montevergine, “mamma Schiavòna”, nel giorno della Candelora.
Cos’è la Candelora e chi è Mamma Schiavòna?
La "Candelora" è letteralmente la festa delle candele (dal latino candelorum). In questa ricorrenza si usa regalare candele che simboleggiano il ritorno della luce e l’uscita dalle tenebre dell’inverno. Questo è generalmente il periodo più freddo dell’anno, ma anche quello di transizione dall’inverno alla primavera.
Per la Chiesa cattolica la candelora ricorda “la presentazione di Gesù al Tempio”, ma tale ricorrenza deriva a sua volta dall’adempimento al precetto giudaico “della purificazione”. Tale precetto prescriveva alla madre dopo quaranta giorni dalla nascita di un figlio maschio di andare al Tempio di Gerusalemme per purificarsi; per la madre di Gesù, che è nato tradizionalmente il 25 dicembre, il termine cade per l’appunto il 2 Febbraio. Molte festività cristiane sono nate per coprire e rimpiazzare antichi riti pagani. Infatti, questo è stato sempre un periodo celebrato dai culti pagani e prima ancora dagli antichi culti solari legati ai cicli della terra e alle stagioni. Al termine di un lungo inverno le riserve di cibo cominciavano a scarseggiare e si attendeva con ansia che l’inverno finisse e la primavera portasse raccolti abbondanti. In febbraio si celebravano a Roma i Fornacalia, rituali in onore di Fornace, la dea del pane e del forno. Sempre a metà febbraio cadevano i Lupercalia, le feste dedicate a Luperco, o Fauno, protettore del bestiame contro la minaccia dei lupi.
Il 1 febbraio i Celti, popolo nordico estremamente legato ai cicli delle stagioni e della terra, celebravano Imbolc, la festa del risveglio, a metà tra il solstizio invernale (Samhain) e l’equinozio primaverile (Oestara).
“Mamma Schiavòna” è il nome con cui viene chiamata la Madonna nera di Montevergine, la quale risulta essere la più amata di tutte, l’unica alla quale si dedicano due pellegrinaggi all’anno: uno a febbraio, proprio nel periodo della candelora, e l'altro a settembre. C’era una vecchia tradizione, sopravvissuta fino all’ultima guerra, di andare in pellegrinaggio a Montevergine almeno una volta nella vita ed una consuetudine che imponeva ai mariti di accompagnarvi le mogli nel mese di settembre.
Nigra et formosae amica mea
L'oscuro culto delle sette Madonne persiste ancora in tutto il meridione, soprattutto in Campania, e si incrocia con quello delle madonne nere. Gabriele Tardio (La leggenda delle sette madonne sorelle) cita un’antica leggenda che narra di un santo pellegrino il quale durante un viaggio in Terra santa trovò sette madonne nere e pensò che fossero sette sorelle. Così le imbarcò portandole in Italia. La prima la lasciò a Bari, la seconda all’Incoronata di Foggia, la terza a Matera, la quarta a Montevergine, la quinta a Pescasseroli, la sesta a Loreto e la settima la portò oltre le Alpi. Si è ipotizzato che le Madonne nere potessero essere tali per il fumo delle candele votive più che per provenienza medio orientale. In ogni caso, le madonne nere le troviamo nei più importanti centri di pellegrinaggio europei: Czestochowa in Polonia, Einsieldeln in Svizzera, Montserrat in Spagna, Chartetres e Le Puy in Francia, Altotting in Germania. Sono quasi sempre rappresentate frontalmente, sedute su un trono col Bambino sulle gambe, talvolta con un globo, o un melograno simbolo di fecondità, nella mano destra. Inoltre, luoghi di culto delle Marie nere si trovano su frequentate vie di pellegrinaggio e spesso sono vicini a monasteri cistercensi o a luoghi templari. Le sette Madonne sorelle della tradizione campana sarebbero: la Madonna dei Bagni a Scafati; la Madonna di Montevergine a Mercogliano; la Madonna delle Galline a Pagani; la Madonna di Castello a Somma Vesuviana; la Madonna dell'Arco a S. Anastasia; la Madonna dell'Avvocata a Maiori; la Madonna di Materdomini a Nocera Superiore.
Si è aggiunta, poi, in tempi più recenti un’ottava Madonna, quella di Pompei.
Una è indicata come "brutta" perché è raffigurata con la pelle scura ed è per l’appunto detta "schiavóna"cioè forestiera; avrebbe perciò scelto di andarsene su una montagna, in modo da non essere vista. In ogni caso, sul numero vi è incertezza: in alcuni casi sono sette, in altri tre, in altri ancora sei.
“Erano sei madonne, sei sorelle… no, sette! Sei o sette? Sei, sette, tre. Tutte belle; una sola era brutta e perciò se ne andò sulla montagna di Montevergine. Disse: io sono la più brutta di tutte le mie sorelle, chi vuole venire da me deve camminare assai” e ancora “Biata chella bella Sant’Anna! Sette figlie, tutt’e sette Maronne”. Sono canti antichi, tramandati oralmente, che si recitano nei pellegrinaggi al santuario di Montevergine. Quello delle madonne sorelle è un tema assai complicato in cui fede, tradizione popolare e sopravvivenza di vecchi culti pagani si mescolano in un groviglio inestricabile.
In Campania la candelora è il giorno della “juta dei Femminielli” a Montevergine (iuta da sagliuta, cioè salita). La Madonna, detta “Mamma Schiavona”, è assurta a loro protettrice in accordo con una leggenda di origine medievale.
Due ragazzi scoperti in atteggiamenti intimi furono cacciati dal paese e condotti nel bosco, più o meno dove ora sorge l’abbazia. Furono legati nudi ad un albero e lasciati a morire di freddo e fame. La Vergine Maria, mossasi a pietà di quei giovani, li sciolse dai legacci e li rianimò con il calore sprigionato dalla sua luce. E’ ovviamente una leggenda, ma tanto basta. Evidente la connessione con la festa della luce, chiari i motivi dell’adozione della madonna come propria protettrice da parte dei femminielli. Diversità, perdono, accoglienza sono i tratti distintivi che accomunano la storia della madonna nera a quella di tutti i cd. “diversi”. La dea madre, la “pachamama” che accoglie tutti e tutti protegge. Lei considerata diversa, lei che perdona e accoglie tutti nessuno escluso. Il giorno della candelora tutti i femminielli si recano a Montevergine a scaldarsi alla luce di Mamma Schiavona, in una sorta di pittoresco pellegrinaggio. La antica tradizione dei femminielli napoletani sta scomparendo, ma la ritualità è stata ormai adottata dal mondo LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, trans). E così dalla classica “iuta” e tutto il folklore che seguiva si è lentamente passati ad una celebrazione che sa di rivendicazione di diritti e di inclusione. Tuttavia il fascino di questa antica tradizione è ancora presente, l’ancestrale richiamo di mamma schiavona continua a portare a Montevergine l’Afan, l’Associazione femminelle antiche napoletane, con in testa le storiche come Ciro “Ciretta” Cascina o Carmelo Cosma al secolo “la Tarantina” su cui sono stati scritti libri. Ogni anno l’abbazia si riempie dei loro colori, degli struggenti canti in napoletano. Un mondo che non esiste quasi più ed anzi rischia di essere solo un elemento di folklore per i turisti attratti dalle stranezze di cui Napoli è indubbiamente è colma. Il femminiello, spesso confuso con il transessuale, è stata ed è una figura tipica della cultura tradizionale popolare napoletana.
Nessuno sa quando è nata questa tradizione, ma è certo che sia antica, molto più antica di quello che si possa ritenere.
Nelle Croniche di Monte Vergine l’abate Giovanni Giacomo Giordano riferisce di un incendio divampato nel 1611 nell’ospizio dei pellegrini, in cui persero la vita molte persone. Tra i corpi ritrovati da restituire alle famiglie vi erano uomini vestiti da donne e donne con abiti da uomo: “Alla notte nella quale successe, mentre al miglior modo possibile si seppellivano quei tanti cadaveri, nel lavarli le vesti di prezzo che portavano, per restituirli alli loro parenti, furono ritrovati alcuni corpi di huomini morti vestiti da donne, e alcune donne morte vestite da huomini”. (Croniche di Monte Vergine, - Molt'illustre, et reverendissimo padre d. Gio. Iacomo Giordano A.D. 1642)
Dunque, il giorno della candelora la folla dei devoti raggiunge l’abbazia in vario modo: con la funicolare da Mercogliano; con il pulmann; alcuni nell’antico modo, cioè a piedi percorrendo un sentiero assai scosceso (ci vogliono più di 4 ore in salita). Arrivati all’abbazia, recitando canti e preghiere, i femminielli salgono la scala di ingresso del santuario accompagnati dal suono delle tradizionali tammorre e castagnette, per poi entrare nella cappella laterale, dove Mamma schiavona attende i suoi figli. Portano una candela, precedentemente benedetta, che simboleggia la luce amorevole della madre. Qui si raggiungono alte punte di manifestazione di fede popolare e commozione, che testimoniano il desiderio e la necessità di riconoscimento e amore.
Dopo l’omaggio alla nera madre, tutto si sposta nel piazzale antistante l’abbazia, dove hanno inizio le rituali ed immancabili danze tradizionali al suono di tammorre e castagnette nastrate, in un grande e collettivo rito purificatorio.
Ciro "Ciretta" Cascina
Disse il villano alla Candelora: "Acqua o neve venga giù, che l’inverno non c’è più". Rispose la strega: "È cosa sicura, che l’inverno arriva quando arriva e dura fin che dura”. È una credenza popolare legata alla candelora, una delle tante. Dice che se il giorno del 2 febbraio nevicherà o pioverà la primavera è vicina; se invece il cielo sarà terso, l'inverno durerà a lungo.
Fa freddo, pioviggina e sul monte sta calando una fitta coltre di nebbia. Così decidiamo di tornare a valle, sicuri che presto finirà l’inverno e che presto tornerà la luce.
© Giovanni Rossi Filangieri - 4.2.2025
A MARCELLO COLASURDO Campobasso, 16 aprile 1955 - Napoli, 5 luglio 2023