Canosa di Puglia 7 aprile 2023, sono circa le 18.00 di venerdì; un coro acuto risuona nell’aria, un canto mesto, pieno di dolore proveniente dalla Chiesa dei Santi Francesco e Biagio. Tutto sembra essersi fermato, anche il tempo, mentre il gruppo di donne vestite a lutto intonano:” Stava Maria dolente, senza respiro e voce, mentre pendeva in Croce, del mondo il Redentor...”.
Sono le ultime prove dell’inno alla “Desolata” che quelle donne eseguiranno all’indomani, nel corso di una delle processioni più suggestive e sentite in assoluto, citata e rappresentata anche nel cinema.
La processione delle "desolate" è un simulacro di corteo funebre, che vede come elemento centrale un coro di un centinaio di madri dolenti, si colloca in uno spazio temporale singolare: a metà tra il venerdì di passione e la domenica di resurrezione. Infatti, si celebra la mattina del sabato. Se le processioni del giovedì celebrano la disperazione di Maria che vaga all’alba in cerca del figlio catturato dai soldati romani e portato da Ponzio Pilato per essere interrogato (la processione “bianca” di Sorrento ad esempio), questa processione celebra lo strazio della madre di un figlio barbaramente ucciso affinché si compia una profezia. Maria ripercorre con strazio le tappe del venerdì di passione che si concludono con la morte del figlio Jeshua (romanizzato jesus) all’alba del giorno seguente. È desolata e la desolazione è peggio del dolore. Dal latino de (da) e solus (sola), la desolazione affetta spazio e tempo e li comprime verso il basso.
La tradizione della “desolata” ha avuto inizio il sabato santo del 1881, con una interruzione dovuta ai bombardamenti del 6 novembre 1943 che determinarono la distruzione della chiesa di “S. Francesco” e dell’oratorio della confraternita di S. Biagio. Entrambi furono ricostruiti in un unico edificio, l’attuale chiesa dei “SS. Francesco e Biagio” da cui da allora la Madonna esce. Anche il complesso scultoreo portato in processione subì una trasformazione negli anni cinquanta, con la statua della madonna un tempo vestita a quella oggi visibile interamente in cartapesta.
La processione delle desolate celebra e sublima, dunque, il dolore delle madri, di tutte le madri; e non a caso le donne del coro sfilano coperte da un velo nero che nasconde i volti e ne fa quasi un corpo solo, indistinto, mistico, sacro. Il canto è greve, quasi strozzato; è il grido di disperazione di Maria “senza respiro e voce”.
Tutto sembra andare oltre il mistero delle fede cristiana e affondare le radici in qualcosa di più ancestrale. La tensione è palpabile. L’emozione con cui tutti, credenti e non, vivono questo momento è qualcosa di potente quanto lo potevano essere i misteri eleusini.
La statua della Madonna è preceduta dalla sacra croce con i simboli della passione, una fila di angioletti, (che nelle nostre foto non vedrete, intendiamo rispettare l’invito fatto dagli organizzatori a nome della comunità di non pubblicare le foto dei bambini), le “violette”, ragazze vestite di viola, colore associato al mistero, alla penitenza, alla malinconia, alla morte, alla paura, alla pietà, al sogno ed alla magia recanti i simboli della passione ed, infine, una fila di pie donne con fiaccole in mano. Il blocco scultoreo portato in processione rappresenta la madonna addolorata davanti al sepolcro del figlio con un angelo consolatore e la croce vuota del Cristo deposto. Osserva Giuseppe Di Nunno, studioso di questa manifestazione religiosa, che l’iscrizione POSUIT ME DESOLATAM che si legge nel cartiglio sul “SEPULCRUM DOMINI” è tratta dalle lamentazioni del profeta Geremia, precisamente la numero tre, versetto undici.
Dietro la statua della madonna ci sono un corteo di uomini in abito scuro e poi il coro delle “signore in nero”, le desolate, un tempo scalze che intonano un canto straziante di cui sotto riportiamo il testo. Infine, a seguire la banda:
Stava Maria dolente
senza respiro e voce
mentre pendeva in Croce
del mondo il Redentor.
E nel fatale istante
crudo materno affetto
le trafiggeva il petto
le lacerava il cor!
Quel dì quell’alma bella
fosse lo strazio indegno
non che l’umano ingegno
immaginar non può.
No! L’umano ingegno
immaginar non può!
Vedere un figlio, un Dio
che palpita, che muore
sì barbaro dolore!
Qual Madre non provò:
sì barbaro dolore!
Qual Madre, qual Madre mai
il provò!
Qual Madre, qual Madre mai
il provò!
L’inno alla desolata si ispira ad una Laude di Jacopone da Todi del XIII sec.
Quello che rende speciale questo evento religioso popolare è anche il contesto, bellissimo ed autentico, del centro storico di Canosa di Puglia, all’interno del quale la processione si snoda per parecchio tempo della sua durata. Una meravigliosa teoria di antiche abitazioni basse e strade lastricate di pietra che ingannano davvero i sensi e, se ci si lascia trasportare dalle emozioni o si è assorti in preghiera, pare quasi di trovarsi in Giudea, nella Yerushalaim del 4 aprile 33 d.c. (a dar retta a Giovanni evangelista).
La processione parte alle 9 del sabato santo dalla Chiesa di San Francesco e Biagio in piazza della Repubblica per ritornarvi circa tre ore dopo. Le desolate al segnale convenuto si coprono il capo e iniziano a cantare il loro straziante inno di dolore. Lo faranno per ore, con la difficoltà ulteriore di dover procedere velate, senza un chiaro riferimento visivo, su strade lastricate di pietra piene di insidie.
Così come all’unisono si erano coperte il capo, al termine della processione si scoprono e si abbracciano tra gli applausi della folla. E questo ha il sapore di una rinascita.
RINGRAZIAMO TUTTA LA COMUNITA' DI CANOSA DI PUGLIA PER LA CALOROSA OSPITALITA' DIMOSTRATA E DON CARMINE CATALANO PER I PERMESSI SPECIALI PER LA FOTOGRAFIA