Borgo dei Vergini, nel ventre della Napoli antica c’è una chiesa seicentesca, ancora consacrata e intitolata al primo patrono di Napoli: la Chiesa di Sant’Aspreno ai crociferi. Questa parte della città era detta “Lavinaio” perché raccoglieva tutte le acque e i detriti che scendevano dalle colline retrostanti ed a causa di questi frequenti allagamenti la chiesa subì danneggiamenti e fu necessario ricostruirla un secolo dopo. La ripida scalinata in pietra lavica ci fornisce ancora oggi un’idea del dislivello della chiesa settecentesca rispetto alle origini. Il nome deriva dall’ordine dei “crociferi” che si dedicavano all’assistenza degli infermi della città; infatti, in origine qui vi era il loro monastero. Oggi, dopo più di quaranta anni di abbandono la Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi è tornata a vivere ed ospita il Museo di Jago.
Jacopo Cardillo, in arte Jago, è nato il 18 aprile 1987 ad Anagni. Dopo essersi diplomato al Liceo artistico, si è iscritto alla Accademia delle belle arti di Frosinone interrompendo, tuttavia, il percorso di Studi. Jago preferisce sperimentare e trovare da solo la sua realizzazione di artista ed il suo talento lo guida e lo sorregge.
Ha vissuto per un certo tempo in Cina, Emirati e negli USA prima di approdare a Napoli.
Nel 2011 è selezionato per la biennale di Venezia dove presenta un busto di Papa Benedetto XVI, Habemus Hominem, che gli vale la medaglia pontificia.
Nel 2016 realizza la sua prima mostra a Roma nella Basilica dei santi apostoli. Ne segue un’altra a New York dove rimane a scolpire per un certo tempo, realizzando alcune delle sue opere più iconiche come il figlio velato, opera ispirata al famoso Cristo Velato di Sanmartino, oggi collocato nella Chiesa di San severo fuori le mura di Napoli. Nel 2019 Jago è stato il primo artista ad esporre una sua opera, The first baby, su una stazione spaziale, in collaborazione con l’ESA. La scultura raffigurante il feto di un bambino è tornata sulla terra nel febbraio 2020. Sempre nel 2020, a novembre, Jago ha realizzato l'installazione Look Down in Piazza del Plebiscito a Napoli, poi collocata nel deserto Al Haniya, Emirato di Fujaira. L’opera rappresenta un bambino in posizione fetale con il cordone ombelicale che lo incatena al suolo di Piazza Plebiscito. Parrebbe rappresentare il fallimento collettivo di un’umanità incatenata alla sua miopia.
Nel 2021 viene posta sul Ponte di Castel Sant’Angelo a Roma la scultura In flagella paratus sum (sono pronto al flagello) che raffigura un giovane profugo che dorme in strada. Dopo poche settimane, infatti, l’opera è stata distrutta dai vandali.
Infine, Jago approda a Napoli città da cui è attratto e che con la sua arte ha sedotto. Riconosce nelle luci e nelle ombre di Napoli, esattamente come fece Caravaggio quattro secoli prima, le stesse luci ed ombre della sua vita e delle sue opere:
“Camminando tra le mie opere esposte riconosco anche i miei fallimenti, che sono come le cadute che un bambino deve affrontare per imparare a camminare. Innamorarsi di un luogo significa renderlo moltiplicatore di qualcosa di sconosciuto. Questo avviene sia nella dimensione delle ombre, sia in quella delle luci. Poi c’è la dimensione del mistero, e quella va protetta. E io difendo questa città”.
Il 20 maggio 2023, nella Chiesa di Sant’Aspreno ai crociferi inaugura lo “Jago Museum” davanti a più di 5000 persone.
Molti lo definiscono, con un paragone davvero impegnativo, “il nuovo Michelangelo”. Jago resta fedele ai canoni rinascimentali e celebra i classici dell’arte e della scultura, ma è un artista modernissimo, pienamente calato nella contemporaneità. È abilissimo nella tecnica scultorea, ma anche nella gestione delle immagini e delle emozioni che generano. Padroneggia alla perfezione le moderne tecniche digitali e di comunicazione, seguitissimo sul web. Possiamo dire che sia l’artista che ha riportato la scultura classica nel mondo contemporaneo, con il suo scalpello gli ha ridato vita come Michelangelo voleva per il suo Mosè, la cui perfezione era tale che gli fece urlare: “perché non parli?”
Il materiale utilizzato da Jago per scolpire è prevalentemente il marmo, talvolta unito ad altri come la pietra di fiume. In una prima fase della sua carriera Jago non poteva permettersi i costosissimi blocchi di marmo di Carrara e quindi prendeva dal fiume i materiali di scarto della lavorazione delle cave a costo zero. Ha dunque imparato a lavorare diversi materiali, anche di scarto.
Che opere sono esposte nel Museo di Jago? La caratteristica del museo è che le opere vengono aggiunte o sostituite e quindi il museo non è sempre lo stesso nel tempo, rendendo interessante una visita anche a chi ci è già stato. Al momento potrete ammirare:
SELF un mezzo busto che ritrae l’artista stesso.
AIRAVATA l’elefante bianco mitologico che trasporta il dio indù Indra. Ritratto in una sorta di uovo con ancora il cordone ombelicale e protetto da sbarre.
MUSCOLO MINERALE Un sasso da cui sbuca una sorta di muscolo cardiaco
SPHYNX ancora il sasso, sorta di uovo che mostra il feto di un elefantino bianco
CONTAINER un sasso da cui spunta la mano di una anziana donna con un unico vezzo, lo smalto rosso. Pare sia la mano della nonna di Jago
INTEGRAZIONE Una figura maschile a tratti nera e a tratti bianca distesa su un fianco su una superficie nero riflettente. Potrebbe alludere i migranti del mare.
PIETÀ Una allusione alla famosa scultura michelangiolesca ma con l’artista al posto della vergine Maria
EGO LAURENTIUS Originariamente intitolata "Ego", questa scultura è stata riscolpita per commemorare Lorenzo Maria, un giovane prematuramente scomparso
VENERE realizzata in marmo bianco Lasa, è una donna anziana che, senza timore, espone un corpo ormai decadente, la cui bellezza non sta nella perfezione delle forme bensì nella verità del racconto personale
NARCISO questo gruppo scultoreo, raffigura il mito di Narciso, il bellissimo cacciatore figlio della divinità fluviale Cefiso e della ninfa Liriope, che apre a una profonda riflessione tra ciò che si percepisce e quello che è.
AIACE E CASSANDRA la violenza raccontata da Virgilio nell’Eneide. Tuttavia, rispetto alla quieta rassegnazione delle classiche rappresentazioni, Jago oppone il dramma della violenza e della resistenza alla stessa, forse allusione alla diffusa violenza sulle donne oggetto di cronaca quotidiana.