Nella parte alta del Rione Sanità, a ridosso di Capodimonte, in una delle parti più antiche e travagliate della città, vi è un piccolo angolo di Cina. Penserete adesso: “sai che novità!”. Non si tratta di uno dei tanti quartieri delle metropoli europee che sono stati colonizzati da emigranti cinesi, non è di una delle tante moderne “china town” che vi raccontiamo, ma qualcosa di molto più antico e connesso ai viaggi di un padre missionario chiamato Matteo Ripa. Il “Collegio dei Cinesi” di Napoli, infatti, è strettamente legato a questo intraprendente prelato. Chi era Matteo Ripa?
Matteo Ripa nacque ad Eboli il 29 marzo 1682 da una famiglia benestante. All’età di quindici anni si trasferì a Napoli per completare i suoi studi. Sotto la guida di Padre Antonio de Torres e con la sua congregazione fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1705. Fu mandato a Roma per formare il collegio Propaganda fide voluto da Papa Clemente XI per la formazione dei missionari. In quel periodo la chiesa missionaria viveva un periodo di agitazione a causa dei riti cinesi. La contrapposizione, in particolare, era tra i gesuiti, che difendevano i riti cinesi applicati alla liturgia cattolica, ed i missionari di Propaganda Fide che li condannavano a favore della costituzione apostolica di Clemente XI. Matteo Ripa fu incaricato, insieme ad altri missionari, di portare la berretta cardinalizia a Mons. Mailard de Tournon in Cina appena ordinato Cardinale. Si imbarcò a Londra il 6 aprile 1708 ed al termine di un viaggio a tappe molto travagliato arrivò a Macao il 2 gennaio 1710. I missionari scoprirono che il neo Cardinale Mailard era prigioniero dei portoghesi. Lungi dall’aver risolto la questione dei riti cinesi, era stato cacciato dall’imperatore Kangshi. Infine, il cardinale morì. Sfruttando la sua grande abilità di incisore e pittore, Ripa riuscì a farsi accettare a corte. Assunse il nome cinese di Ma Kuo-hsien, inserendosi molto bene nella cultura cinese, apprendendone usi e il linguaggio. Riuscì anche a creare una scuola per formare giovani cinesi e diffondere il cristianesimo. Dopo la morte dell’imperatore, avvenuta il 20 dicembre 1722, fu costretto a tornare in Europa. Si imbarcò a Canton il 24 gennaio 1724 con quattro giovani allievi ed il maestro Wang e giunto a Londra fu accolto con tutti gli onori dal Re Giorgio I. Proseguì poi per Napoli dove giunse il 20 novembre 1724.
Ed è in questo periodo che nacque il Collegio dei cinesi. Il corpo di fabbrica sulla collina della Sanità detta dei “Pirozzoli” inizialmente era ad uso civile e nel 1710 fu venduta da privati ai Monaci Olivetani, i quali già avevano un complesso monastico nella zona adiacente all’odierna Piazza del Gesù. Il monastero venne dedicato a Santa Francesca Romana e gli Olivetani gli aggiunsero una grande chiesa. I monaci Olivetani rimasero lì solo pochi anni, fino al 1729 allorché lo vendettero a Matteo Ripa per 6.300 ducati. Ripa, accompagnato da cinque cinesi e alcuni iniziali congregati, si trasferì nel monastero il 14 aprile 1724. L’istituzione del Collegio “Sacra Famiglia di Gesù Cristo” fu decretata nel 1725 da Papa Benedetto XIII col compito di “educatio alumnorum sinesium et indorum”
I giovani cinesi di età non inferiore ai quattordici anni, dopo l’arrivo a Napoli, erano introdotti nel collegio con il rito della Vestitio. Seguendo l’iter ecclesiastico, i giovani cinesi venivano ordinati sacerdoti intorno ai 25-30 anni.
Il Collegio dei Cinesi fu la prima scuola in Europa per la formazione di missionari cattolici di lingua e nazionalità cinese destinati a evangelizzare la Cina, ma fu anche una delle prime scuole europee per interpreti di lingua cinese.
Il 29 marzo 1746 Matteo Ripa morì. Tuttavia, il collegio continuò la sua attività. È noto che vi soggiornò Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Nel 1866, con l’unità d’Italia, fu soppressa la sezione missionaria e divenne una scuola di formazione per diplomatici ed interpreti di lingue orientali, nonché una sorta di ambasciata cinese in Italia. Nel 1869 il “Real Collegio Asiatico per l’insegnamento di lingue, orientali ed europee” venne trasformato in un vero e proprio Istituto Universitario, che nel 1888 assunse il nome di “Istituto Orientale” che è ancora oggi una rinomata Università linguistica napoletana. L’università poi si trasferì altrove e questo edificio divenne Ospedale Militare; ed è arrivato così fino ai giorni d’oggi.
Che ne è stato del complesso?
Il Collegio è in parte abbandonato ed in parte occupato dall’ASL, mentre la Chiesa continua la sua vocazione sinologica. Dopo essere stata chiusa per molti anni a seguito del terremoto del 1980, è stata restaurata grazie all’intervento dell’ASL Napoli 1 centro e della Curia che ha consentito la riapertura nel 2018. Oggi, grazie all’impegno di Don Paolo Kong, Coordinatore nazionale della Pastorale dei Cattolici Cinesi in Italia, la Chiesa della Sacra Famiglia dei Cinesi accoglie una comunità cristiano-cattolica di circa sessanta fedeli di lingua cinese sparsi per tutta la Campania, che ogni domenica pomeriggio si riunisce in preghiera e celebra la messa in cinese.
Al complesso non si arriva più dalla Salita dei Cinesi poiché il grande portone di accesso in cima alla salita è stato bloccato. La Chiesa è accessibile attraverso l’ASL ed è visitabile col permesso della comunità o durante la messa domenicale. Ne vale la pena, non tanto per il pregio della Chiesa in sé (la nostra città ne è davvero stracolma), ma per l’interesse storico che questo luogo riveste. Anche dal punto di vista sociologico- etnologico è uno straordinario incontro con una cultura lontana che però si è approssimata alla nostra attraverso la religione. Matteo Ripa, durante il suo viaggio in Cina, tenne un meticoloso diario in cui annotò tutto ciò che gli capitava, nel quotidiano o a Corte. Questa sorta di novello Marco Polo ha fornito tantissime notizie sulla Cina del XVIII secolo e il diario è stato accuratamente studiato.
Matteo Ripa celebrò la sua prima messa in questa Chiesa nella Pasqua del 1729. All’epoca esisteva (oggi non più) una statuetta lignea dell’Immacolata Concezione che gli era stata donata nel 1709 da Fra Giovanni, parroco del Villaggio di Bagumbay presso Manila. La statuetta era stata vandalizzata e per questo Ripa l’aveva ribattezzata “Regina dei Martiri”. Il bel pavimento di marmo a quadrelli bianchi e neri nasconde illustri sepolture. A parte quella di Matteo Ripa, ci sono: Niccolò Borgia, Vescovo di Cava e poi di Aversa; Liborio Pisano, Vescovo di Massalubrense morto nel 1756; Francesco Saverio Maresca, missionario, aveva trascorso i suoi ultimi 15 anni in Cina. In Chiesa c’è una lapide che lo ricorda. Quattro nicchie sono occupate dalle statue di San Giuseppe, San Gioacchino, Sant’Anna e Sant’Elisabetta; sarebbero stati eseguiti su disegni di Francesco Solimena. L’altare maggiore realizzato in ricchi intarsi di marmi policromi presentava una decorazione bronzea al centro del paliotto, ovvero la croce simbolo della congregazione con ai lati i caratteri cinesi Sheng e Jia, simboli della sacra famiglia e presenti anche nell’affresco dipinto sotto la volta dell’androne. L’altare è sormontato da una grande pala di Antonio Sarnelli, scuola Luca Giordano, raffigurante la sacra famiglia. Nell’iconografia classica, che vede la madonna assisa tra le nuvole circondata da angeli, con Gesù bambino benedicente in braccio, alle spalle Sant’Anna, San Giuseppe e San Gioacchino sono inseriti due giovani cinesi in costume tradizionale che invocano la benedizione celeste. Si tratta di Lucio Wu (Wu Lujue) e Giovanni Jin (Yin Ruwang), due dei quattro cinesi che Ripa portò a Napoli quando lasciò la Cina nel 1724. Bello il coro sopra il portone di ingresso che conserva ancora il pavimento maiolicato settecentesco.
LA CHIESA DELLA SACRA FAMIGLIA
La Sacrestia, un tempo biblioteca dell’ospedale ospita qualche opera e delle mostre di oggetti realizzati da e per la congregazione. Sul fondo si possono ammirare gli antichi scolatoi mortuari e un bassorilievo funebre.
LA SACRESTIA
Accedere a questa chiesa passando dentro quello che era stato un antico monastero, è stato un autentico viaggio nel passato e nella complessa storia di questa città che non smette davvero mai di sorprendere