E’ un sabato pomeriggio di novembre, l’aria è tersa e fa freddo. La sirena stavolta ci ha attratti dalle parti di Mergellina, in una chiesa che fu cara a Jacopo Sannazaro (1458 – 1530) e che custodisce una misteriosa tela del cinquecento, su cui è sorta una leggenda che a onore del vero contiene più di un elemento di verità. L’opera di Leonardo da Pistoia è “San Michele uccide il demonio” conosciuto anche come il “diavolo di Mergellina”.
Dobbiamo attendere il parroco, Don Salvatore, che venga ad aprirci la chiesa. Così ci godiamo il panorama dal terrazzo della chiesa. Napoli alla tenue luce del tramonto è ancora più bella con i palazzi bella riviera, del lunghissimo Corso V. Emanuele e del basso Vomero che sembrano un presepe colorato.
La chiesa di Santa Maria del Parto è situata in uno dei luoghi più belli di Napoli, nella zona di Mergellina a poca distanza dalla rinomata Via Posillipo. Come si diceva la chiesa è legata al celebre letterato napoletano Jacopo Sannazaro e la cui tomba è ospitata al suo interno. Jacopo Sannazaro, membro dell’Accademia Pontaniana e frequentatore della Corte aragonese, occupa un ruolo di primo piano nel panorama culturale napoletano della seconda metà del ‘400. Federico d’Aragona riconobbe a Jacopo Sannazaro una pensione di seicento ducati, oltre ad un terreno nella zona di Mergellina. Con molta probabilità nel podere esisteva già una villa a cui venne fatta aggiungere dallo stesso Sannazaro una torre, oltre alla realizzazione di un progetto per la costruzione di due chiese sovrapposte: i lavori di realizzazione di queste iniziarono nel 1504 quando il Sannazaro si trasferì a Mergellina. La chiesa sottostante fu terminata nel 1525, interamente scavata nel tufo, con ingresso autonomo e dedicata a santa Maria del Parto, nome derivante da una delle opere del Sannazaro, De Partu Virginis, divenendo luogo di preghiera per tutte le donne incinte o per quelle che desideravano avere un figlio: era infatti usanza riunirsi il 25 di ogni mese per recitare preghiere in favore di queste donne.
Con l’assedio francese del 1528, il complesso venne saccheggiato da Filiberto di Châlons. Fu così che l’anno successivo Sannazaro decise di donarlo ai frati dell’ordine dei Servi di Maria a cui assicurò anche un compenso di seicento ducati l’anno per il completamento della chiesa ed erigere un monumento funebre in suo onore, alla sua morte, all’interno di essa. Negli anni a venire sia Giovan Carlo Mormile che Giovan Simone Moccia ingrandirono ed abbellirono il tempio tanto da farlo diventare luogo di preghiera durante il periodo estivo per la corte vicereale: fu così che la chiesa prese il nome definitivo di Santa Maria del Parto. Con la soppressione degli ordini monastici voluta da Napoleone Bonaparte durante il decennio francese, i Servi di Maria furono allontanati e la chiesa con le sue proprietà passarono in mano ai privati: fu in questo periodo che la facciata venne modificata per dare spazio alle abitazioni. Nel 1812 fu affidata alla confraternita del Santissimo Rosario e solo nel 1971 ritornò all’ordine dei Servi di Maria.
L’originario complesso è ormai inglobato nella città e riesce difficile immaginare come fosse. Persino la chiesa si vede a malapena e solo dall’alto. La facciata è stata da poco rifatta ridando dignità agli antichi stemmi dipinti e ripristinando il colore originario. Una serie di tre rampe di strette scale conduce al piazzale sul quale si affaccia il sagrato della chiesa: questo in realtà è il tetto di un edificio sottostante, anche se originariamente doveva trattarsi di un giardino. La chiesa non è grande ma è molto ben manutenuta. Entrando si nota subito l’altare marmoreo settecentesco con al centro la Madonna col Bambino, in legno policromo, realizzata nel 1865 da Francesco Saverio Citarelli. Il Culto di Santa Maria del Parto è molto diffuso nella città di Napoli e ancora oggi, ogni 25 del mese, le partorienti e le coppie che non riescono ad avere un figlio ricorrono all’ intercessione della Madonna.
Si racconta che perfino la regina Maria Josè si rivolse alla Madonna del Parto. Tante le opere d’arte qui custodite. Un bel presepe dello scultore Giovanni da Nola (1488-1558). Figlio di venditori di cuoio, sceglie la scultura lavorando accanto ad artisti lombardi operanti a Napoli, noti per la produzione presepiale.
Poi, “La Vergine Maria e la chiamata dei Sette Fondatori dei Servi di Maria” (1233). Vero capolavoro è il monumento funebre di Jacopo Sannazzaro scolpito dall’ allievo di Michelangelo, fra Giovannangelo Montorsoli (1507 – 1563). Splendidi anche gli affreschi della cappella, opera di Nicola Russo della scuola di Luca Giordano.
IL MONUMENTO FUNEBRE DI JACOPO SANNAZARO GLI SPLENDIDI AFFRESCHI DI NICOLA RUSSO
Ma a catalizzare l’attenzione è la cappella immediatamente sulla destra, dove troviamo l’altare di Diomede Carafa (1492-1560), vescovo di Ariano Irpino e poi divenuto cardinale. Sull’altare possiamo ammirare la tavola lignea raffigurante San Michele Arcangelo che scaccia il demonio. Opera questa di Leonardo Grazia da Pistoia, pittore operante a Napoli verso la metà del XVI secolo, questo dipinto è noto come il “Diavolo di Mergellina”. Forse è la scritta, seminascosta sotto il corpo del diavolo, che ha fatto nascere la leggenda legata a Vittoria (Victoriam). Fatto sta che i personaggi, coevi, sono realmente esistiti.
La leggenda, tramandata oralmente per secoli, ma ricordata nei loro scritti da Matilde Serao e da Benedetto Croce, vuole che i due personaggi del quadro commissionato dal Cardinale Diomede Carafa siano lo stesso Cardinale nei panni di San Michele che uccide il demonio mentre il demonio ha le sembianze di una nobildonna dell’epoca, Vittoria D’Avalos, che si dice fosse di rara bellezza. Vittoria è una cortigiana ambita da tutti gli uomini della nobiltà napoletana dell’epoca, ma lei è attratta da un uomo solo … un uomo che, però, ha preso i voti: Diomede Carafa. Il Carafa non è solo bello ma colto, raffinato e membro di una delle più potenti famiglie napoletane. Vittoria non è un genere di donna abituata ai rifiuti ed al desiderio di avere l’uomo di cui si è innamorata si sostituisce quello di vendetta per l’affronto del rifiuto. Così, Vittoria chiese aiuto ad una famigerata strega, la Alemanna. Questa fattucchiera non disattese le speranze della nobildonna, preparando un elisir che avrà effetto. L’intruglio preparato dall’Alemanna venne versato nell’impasto di dolci offerti al vescovo Diomede per i poveri. Il prelato assaggiò i dolci e cadde vittima del sortilegio. Il Carafa da allora non trovò pace, desiderando giorno e notte solo Vittoria. Intuendo il maleficio, anche il prelato ricorse all’aiuto di un monaco procidano, vecchio amico, potente esorcista ed esperto di pratiche magiche. Il frate prese due figurine, l’immagine dell’Arcangelo Michele, e quella di Lucifero. Fornì anche un balsamo speciale da consegnare al pittore da impastare nei colori necessari a dipingere un quadro da collocare in un luogo sacro, che rappresentasse quelle stesse immagini. Inoltre, sul dipinto deve essere apposta la scritta: “Et fecit victoriam halleluia!”. Pare che questo funzionò e il Carafa fu libero dal sortilegio.
L’iconografia del dipinto riflette la mentalità di un’epoca in cui la donna non veniva considerata al pari dell’uomo, ma debole e facile preda del demonio. Del resto, il dettato biblico vuole il maschio Adamo creato direttamente da Dio, mentre la femmina Eva da un pezzo (costola o bacino non importa) del maschio. Il demonio qui ha il volto di una bella donna dai capelli biondo rossicci e non del consueto mostro scuro con le corna. La donna strumento del demonio che attenta alle virtù del santo monaco? Che le cose siano andate davvero così? Forse non è un caso che il quadro sia proprio li dove è, nella cappella Carafa. Oppure può darsi che la sirena con il suo canto ammaliatore ci faccia vedere cose che non sono; magari la parola “Victoriam” e la mentalità di un’epoca hanno alimentato la leggenda che ancora non si spegne. Provate, però, a guardare da vicino quel quadro e diteci se non vi mette a disagio, se non fa venire i brividi anche a voi. Comunque vada, è un’immagine bellissima ed è ancora al suo posto, in questa chiesa cinquecentesca nascosta tra le pieghe di Mergellina, a ricordarci quanto straordinariamente ricca sia la storia della nostra amata Parthenope.
ET FECIT VICTORIAM!
HALLELUIA
Sinceri ringraziamenti al Rev. Don Salvatore Perrella, persona di squisita gentilezza e grande cultura. Ci ha praticamente fatto da guida e, infine, ci ha dato un prezioso libretto con tutta la storia della chiesa, da cui sono tratte tutte le notizie storico artistiche.