ALLA PAROLA VIAGGIO SI ASSOCIANO SEMPRE LUOGHI ESOTICI, AVVENTURA, SVAGO, PIACEVOLI RICORDI. TUTTAVIA, NON SEMPRE IL VIAGGIO RAPPRESENTA QUALCOSA DI LUDICO O E' FRUTTO DI UNA LIBERA SCELTA. CI SONO CASI IN CUI IL VIAGGIO RAPPRESENTA UNA NECESSITA' ED UN RISCHIO. QUESTA E' LA STORIA DI UNO DI QUESTI VIAGGI, PURTROPPO FINITO MALE. LA MIA E' UNA RICOSTRUZIONE IMMAGINARIA DELL'ESODO DI UN MIGRANTE EGIZIANO, PARTITO PRESUMIBILMENTE DALLE COSTE DELLA LIBIA ED ANNEGATO MENTRE TENTAVA DI ARRIVARE IN ITALIA.
Il mio nome è Samir, ho 20 anni, sono innamorato di Karimah e me la dovevo sposare. Ora non so più dove mi trovo. So di avere viaggiato tanto, non so nemmeno per quanto tempo. Ricordo di avere dormito in strada, percorso chilometri e chilometri in bilico su camion stracolmi e maleodoranti. Conosco il caldo, le mosche, la fame e la paura: sono le mie compagne di vita e di viaggio da sempre. Mi hanno detto che dall’altra parte del mare c’è cibo, si mangia tutti i giorni e la gente vive in pace, senza paura. E poi c’è quel gioco che a noi africani fa impazzire: il calcio. Quando nel mio villaggio arriva il segnale satellitare e la televisione trasmette una partita, qualunque partita, ci sentiamo in paradiso. Che sia il Milan, il Napoli, il Saragozza o la Dinamo non fa differenza, vestiamo i colori provvisori del giorno ed è festa, ci sentiamo quasi parte del mondo. Nel mio viaggio ho sognato spesso queste cose, per non morire. Ho sognato la mia Karimah, ho sognato uno stadio colorato pieno di gente in festa ed il campo da gioco…non come quelli di pietra e polvere dove giochiamo noi, verde, ma di un verde che non ci si crede, che sembra pittato. Certe volte ho persino sognato di essere in uno di questi campi con Karimah vestito a festa e tutti ci applaudivano. Ma ora non ho più sogni e nemmeno incubi. Sono in questa distesa di sabbia infinita, immerso in una luce abbagliante. Mi sembra di vedere il mare lontano, ma ho gli occhi di sale, vedo solo luci e contorni sfumati. Ho uno strano peso sul torace che mi opprime, ma stranamente non sento dolore. La cosa che invece mi addolora è che ho perso la borsa con le uniche cose che avevo con me: una foto della mia bella Karimah e una lettera per lei. L’avrei spedita non appena avessi messo piede sulla terraferma al di là di quel mare scuro e minaccioso che sta tra noi ed i nostri sogni. L’avrei spedita subito per farle sapere che stavo bene, per farle sapere che Samir aveva affrontato il mare e che, senza sapere neppure nuotare, ce l’aveva fatta a superarlo. E lei sarebbe stata orgogliosa di me. Ma ora non ho più niente. Non ricordo dove e quando ho potuto perderla. L’avevo assicurata bene al collo, protetta con una busta di plastica perché non si bagnasse. Ho visioni di mare, ricordo di essere partito ma stranamente non ricordo di essere mai arrivato da nessuna parte.
“SAMIR, SAMIR, SAMIR…” mi giro più volte, ma non vedo nessuno. Il suono mi avvolge, come non avesse una fonte, non provenisse da alcuna direzione, ma fosse nella mia mente. E mi sembra una voce familiare. “SAMIR….SAMIR...” – “IBRAHIM??? Non è possibile…sei tu?”. Ora lui è davanti a me. E’ come tutto il resto, sembra fatto di luce, sfocato. “Ibrahim sei tu…allora sono tornato indietro? Sono tornato indietro…”.
Ibrahim l’avevo lasciato a terra, si era ammalato, troppo per affrontare il viaggio.
“Sono tornato indietro Ibrahim, è stato tutto inutile. Devo trovare un’altra barca. Ma tu, tu sei guarito! Aiutami a trovare un’altra barca, partiamo insieme” – “Samir, ho pregato con tutte le mie forze il profeta che ti facesse arrivare dall’altra parte. Mi dispiace davvero tanto.” – “Ibrahim, dobbiamo ritentare, troviamo una barca, io ci devo riuscire” – “Samir…ascolta, dopo che tu sei partito, due giorni dopo io….”
– “io?...”
– “io sono morto Samir!”
– “ODDIO…. allora non sei reale? Come tutto il resto. Sto impazzendo … sono impazzito e sto morendo in questa terra sconosciuta!!!”.
Come per magia, adesso quella strana spiaggia si sta rapidamente affollando di luci, sagome sfumate, tantissime, sempre di più. Dapprima solo le braccia levate al cielo, poi i visi e poi i corpi e le gambe. E tutte si stringono attorno a me, come per abbracciarmi. Le anime dei migranti morti in mare. Sono come un puntino in un vortice di luci.
Il mio nome è Samir, sono nato in Egitto, avevo 20 anni quando sono partito dalle coste della Libia per inseguire i miei sogni e sono arrivato cadavere a Pozzallo. Al collo avevo una busta plastificata con la foto di una ragazza ed una lettera scritta in arabo. Qualche anima bella l’ha fatta tradurre in italiano e l’ha postata in rete perché in qualche modo potesse giungere al mio amore.
Ora so la verità, l’ho vista nella luce. Ma adesso devo andare, c'è una barca che mi riporta finalmente a casa, dove tutto ricomincia.
La foto è stata scattata all’interno delle carceri dell’antico Castel dell’Ovo a Napoli, dove c’era la mostra estemporanea del maestro Carmine Calò LE ANIME NASCOSTE. Quest’opera, che si chiama “MANI”, mi ha fatto pensare subito al dramma dei migranti affogati in mare ed in particolare alla storia di Samir, alla cui memoria dedico questo piccolo racconto.
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