Questo piccolo borgo del cosentino a minoranza albanese ha subito la sorte di molti altri dell’entroterra del meridione.
Un tempo rifugio sicuro dai pericoli che venivano dal mare e dalle pianure, oggi isolati, con scarse prospettive di lavoro, funestati da calamità naturali questi luoghi, ormai deserti, raccontano un mondo che non ce l’ha fatta a sopravvivere alla modernità e rivelano usi e stili di vita ormai scomparsi. Camminare tra le vie di Cavallerizzo è un po’ come camminare dentro Apice, Castelpoto, Romagnano, Roscigno per citare alcuni paesi fantasma della nostra terra, la Campania. Con alcuni di questi borghi ha molto in comune. Ad esempio, anche Roscigno è stato abbandonato per dissesto idrogeologico ed ha avuto un ultimo abitante, restio ad abbandonare la propria casa e i propri ricordi.
Cavallerizzo è una zona della Calabria attraversata da una faglia lunga 25 km e profonda 12.km. Al suo interno insistono spinte impressionanti che stritolano i sedimenti. Il 7 marzo 2005 un enorme frana devastò parte del paese. Anche se non ci furono vittime, il dissesto ha causato la morte di questo abitato. I residenti sono stati evacuati e trasferiti nella nuova Cavallerizzo a pochi chilometri dal vecchio abitato.
Non tutti però. Due abitanti vivono ancora nel vecchio paese: Liliana Bianco, 70 anni e suo figlio Raffaele, 40 anni. Sono venti anni che vivono in una città fantasma, utilizzando un generatore per la corrente ed acqua piovana nei serbatoi per l’acqua. La loro storia ha fatto il giro del web e nel 2021 è diventata anche un film documentario dal titolo “Cavallerizzo” di Ines Von Bonhorst e Yuri Pirondi. Il film esplora le conseguenze di una comunità fratturata e della loro lotta per mantenere le proprie tradizioni albanesi. Il film non si concentra sugli aspetti politici della storia, ma si concentra piuttosto sulle conseguenze sociali e psicologiche della frana sulle persone che vivono nella zona.
Chi volesse vedere il film, può farlo cliccando il link qui sotto.
La storia di Liliana e suo figlio Raffaele è quella di molti italiani che si sono visti privati dei loro ricordi, delle loro abitudini, della loro identità. Popolazioni intere trapiantate in paesi più sicuri ma costruiti senza minimamente tenere conto della cultura e dell’identità delle persone che dovevano abitarli. Non sempre la modernità e le comodità possono fare dimenticare il passato e i ricordi. E questo passato, questi ricordi riecheggiano nel vecchio borgo silenzioso e ferito a morte. E, così, è possibile vedere le case inclinate, segnate da profonde fratture, ormai quasi vuote ma con i segni evidenti di una vita intensa trascorsa. Documenti, giocattoli, riviste ma anche elettrodomestici, mobilio, vestiti raccontano delle persone che qui vivevano. Le stanze degli adolescenti che furono sono ancora tappezzate di poster con gli idoli dell’epoca, ormai sbiaditi e impolverati: Nick Kamen, Schumacher e la sua Ferrari etc. Anche i centri di aggregazione, come un oratorio, mostrano i segni di profondi ricordi e momenti di vissuta socialità. Come tutte le ghost town, Cavallerizzo genera sentimenti di emozione e commozione e per persone che come noi non sono più giovanissime hanno anche un effetto “specchio”; ci si ritrova a esclamare come bambini “noooo, questo ce l’avevo anche io!” – “ ma daiii, questo me lo ricordo….”. È la storia, la nostra storia che resiste ostinatamente alle ingiurie e alla violenza del tempo che passa.
Ma c'è una cosa di Cavallerizzo che è forse unica o quantomeno non l'abbiamo mai provata prima nelle tantissime ghost town visitate. Chi andasse a Cavallerizzo sperimenterà una condizione di disorientamento spaziale piuttosto inquietante. Anche se non ve non ve ne accorgerete, il vostro cervello percepirà la anomala assialità delle case e dei piani cercando di correggerla e generando sensazioni di disagio, malessere o vertigini. In alcune case lo avvertirete in maniera molto evidente. In ogni caso, non dimenticate mai che è un luogo interdetto e pericoloso.
Infine, andate a salutare Liliana, portando magari dei doni; molti lo fanno, garantendo a questa coraggiosa donna e suo figlio quel calore umano che non gli deve mancare. La sua casa è facile da trovare, è l’unica abitata; l'abbaiare dei suoi cani vi guiderà.