I SERPARI DI SAN DOMENICO A COCULLO

A Cocullo, un minuscolo paese arroccato tra le montagne della valle del Sagittario in provincia dell’Aquila, si celebra un rito assai singolare, quello dei Serpari di San Domenico. Si tratta di una tradizione che si perde nel tempo e di non semplice interpretazione. Come spesso accade, la fonte principale fonda nelle leggende popolari che si tramandano oralmente di generazione in generazione.

L’antica popolazione italica dei Marsi che abitava queste valli annoverava, tra i molti dei, la dea Angizia, protettrice dai veleni dei serpenti. San Domenico era un monaco benedettino originario di Foligno che predicava nell’Italia centrale, fondando monasteri ed eremi. Il monaco rimase svariati anni a predicare in quella valle e quando se ne andò, secondo la tradizione, si cavò un dente (con probabile allusione al dente avvelenatore del serpente) e lo donò insieme ad un ferro della propria mula (le reliquie sono visibili sulla statua portata in processione) alla popolazione di Cocullo per dissuaderla da tale culto pagano e fargli abbracciare la fede cristiana. Tuttavia, è dal XVII secolo che iniziò il culto di San Domenico santo protettore di Cocullo, allorquando a loro fu donato un dente del santo dal santuario di Sora dove san Domenico è sepolto. La fantasia popolare ha fatto il resto. La popolazione, non conoscendo le tipologie di serpenti che popolano la zona di Cocullo, cominciò a credere che fosse il santo a fare diventare innocue queste serpi, come segno di benevolenza e protezione degli abitanti della vallata. 

Nei boschi intorno Cocullo i serpenti abbondano, ma in realtà sono per lo più di specie non velenose, come il cervone o il biacco. In particolare il cervone (Elaphe quatuorlineata), un serpente molto bello che, a dispetto delle sue dimensioni (uno dei più grandi d’Europa, può superare i 2 metri), è completamente innocuo per l’uomo, ha qui trovato un luogo di protezione e studio. I cervoni sono specie a rischio e protetti dalla Convenzione di Berna – App. II e Direttiva n. 92/43/CEE. Naturalmente, anche il cervone, protagonista delle celebrazioni di Cocullo, è circondato da un alone di mistero e leggenda. La credenza popolare vuole che nelle notti di novilunio esemplari enormi si radunino nei cimiteri e come difesa dagli stessi basta mangiare nove fichi secchi.

E dunque, ogni anno il 1° maggio si tengono le celebrazioni in onore di san Domenico. 

Tutto inizia con la cattura dei serpenti alla fine marzo da parte dei “serpari”, come sono detti coloro che catturano e custodiscono i serpenti per la processione. I serpenti vengono custoditi con grande cura e nutriti con topi vivi e uova sode. I serpari probabilmente sono gli eredi degli antichi ciaralli, gli incantatori dei serpenti di tradizione medievale, fatta risalire a San Paolo che libera l'isola di Malta dalle serpi, banditi dalla controriforma del Concilio di Trento. I ciaralli erano delle figure rispettate e temute, ritenute praticanti arti magiche; viaggiavano di paese in paese liberando case e terreni dalla presenza di bestie serpenti in cambio di cibo. Oggi sono i serpari di San Domenico che esercitano quest'arte del catturare e rilasciare le serpi.

Come detto San Domenico è protettore dal veleno dei serpenti e dal mal di denti. Per questo la mattina della ricorrenza e usanza per i fedeli tirare con i denti la catenella della campanella e raccogliere la terra benedetta che si trova nella grotta dietro la nicchia del santo. La terra sarà tenuta in casa come protezione dagli influssi malefici, sparsa nei campi per allontanare gli animali nocivi oppure sciolta nell'acqua e bevuta come pozione contro ogni male. Dal 2009 causa terremoto e danneggiamento del santuario, la cerimonia ha luogo nella parrocchia della Madonna delle Grazie. Gli abitanti di Cocullo reclamano da tempo interventi affinché si possa riprendere ad utilizzare la Chiesa di San Domenico, inagibile da ormai 15 lunghi anni.

A mezzogiorno, dopo la rituale Messa, la Statua del santo viene fatta uscire dalla chiesa, e postigli tutti i serpenti sopra, portata in processione per le strade del paese. Ai fianchi della statua del Santo, due ragazze vestite con abiti tradizionali, portano sulla testa un cesto contenenti cinque pani sacri chiamati "ciambellani". Questi pani vengono donati per antico diritto ai portatori della Sacra Immagine e del gonfalone.

Al termine della festa, la statua è riportata in chiesa, accompagnata dallo sparo dei fuochi d’artificio. 

Nei giorni seguenti tutti i rettili verranno riportati al loro habitat naturale dai serpari, per lo più nel punto preciso dove sono stati catturati.

E veniamo alla nostra esperienza a Cocullo, la prima volta.

Siamo arrivati il giorno prima per saggiare l’atmosfera e vedere in anticipo il posto. Dopo esserci sistemati in un agriturismo a Scanno, alcuni chilometri da Cocullo, siamo arrivati in paese verso le 16.30. Avevamo avuto anche offerta la possibilità di fare fotografie nel paese alle ragazze in costume tradizionale con i loro serpenti. In giro c’è tanta gente, l’atmosfera è frizzante e si prepara il palco in piazza per le televisioni. C’è l’attesa dei grandi eventi ed una evidente tensione nell’aria. Ci sono già inviati di media italiani e stranieri ed anche diversi fotografi a caccia di immagini. Le ragazze ci attendono sotto casa dove iniziamo a fotografarle per poi seguirle in piazza e al belvedere dove hanno una intervista da fare con una emittente tedesca. Siamo soddisfatti, abbiamo già buone immagini nelle nostre schede. Il cielo si addensa di nubi e le previsioni per il giorno dopo non sono buone; si prevede pioggia proprio alle 12, quando parte la processione. 

Il giorno dopo ci tocca arrivare a Cocullo quasi all’alba per trovare un posto per l’auto non troppo lontano dal paese. Il giorno della processione, le strade attorno a Cocullo vengono interdette alla circolazione, mentre la provinciale che lambisce la parte alta del paese viene attrezzata per il mercato, manifestazione collaterale alla processione vitale per la promozione dell’artigianato e dei prodotti locali. La promessa navetta non si vede e così dobbiamo raggiungere il paese a piedi, sfruttando una strada in decisa pendenza che si apre sulla provinciale.

La confusione in piazza è già alta nonostante manchino diverse ore all’inizio della processione. Di ora in ora la gente continua ad aumentare e la tensione comincia a salire. Mi sa tanto che per ottenere qualche buona immagine dovremo sgomitare parecchio.

Anche per impiegare il tempo residuo alle 12, ora in cui termina la messa ed esce la statua di San Domenico in processione, andiamo davanti la casa dove si preparano le donne in costume tradizionale ed il cesto con i pani sacri per poi andare in chiesa. Anche qui la ressa dei fotografi ci impegna non poco per ottenere qualche foto corretta. 

Tornati in piazza verso le 11.00 dopo che le donne con le ceste sono uscite per recarsi in chiesa alla messa ci dividiamo. I nostri compagni “d’arme”, Giuseppe e Sonia del team di ERREBI Foto, scelgono di stare lontano dalla ressa sfruttando ottiche tele per prendere immagini dalla distanza. Io ed Anna preferiamo stare vicini il più possibile alla chiesa e finiamo inghiottiti nell’oceano di gente che affolla la piccola piazza. Alla fine, con tanta pazienza, molta resistenza, fortuna ma anche esperienza, alzando molto la macchina siamo riusciti a portare via qualche buona immagine. Come previsto, all’uscita della Statua di san Domenico, proprio quando i serpari si affannano a posizionare tutti i serpenti sul santo, inizia a piovigginare. La processione, a causa della pioggia, che si era fatta piuttosto incessante, è stata accorciata e la statua e tornata prima in chiesa.

Purtroppo, tra queste montagne la pioggia è un fenomeno affatto raro, anche in questa stagione. La gente è abituata e sembra non farci troppo caso. Noi siamo ormai fradici nonostante le protezioni e decidiamo di prendere la via di casa. Un sicuro arrivederci al prossimo anno.

 

Ringraziamenti:

Giuseppe Ricciardiello e Sonia Brandolone

Arianna Mascioli, Valentina Mascioli e nonna Leda.