Monica Cristofoletti

In arte MoniCris, è sicuramente tra le fotografe del panorama urbex più talentuose e che meglio curano la descrizione dei luoghi. Per questo siamo felici di averla su questa rubrica e che abbia accettato di raccontarsi. Ecco cosa ci ha detto in risposta alle domande che rivolgiamo a tutte.

Parla un po’ di te

Mi chiamo Monica, Moni Cris su Fb, unico social che utilizzo. “Purtroppo” bresciana, perché chi mi conosce sa che amo il Sud alla follia, Campania in primis, e che vorrei tanto una “vita vista mare”. Felicemente pensionata dal 2018. Sono una persona maniacalmente ordinata e razionale, a cui piace stare soprattutto in compagnia di se stessa, adoro il silenzio e la solitudine, ma ho anche pochi amici sinceri con cui ho la fortuna di vivere il mio tempo. Come e quando hai cominciato

E’ stato solo per curiosità che verso la fine del 2014, avendo in casa una buona attrezzatura fotografica che il mio compagno non utilizzava più, ho deciso di frequentare un corso base di fotografia. E lì il mio orizzonte è cambiato: sempre solitario e silenzioso, ma questa volta ricco di “emozioni visive”. Ho provato a fotografare un po’ di tutto, fino a quando…

Come hai conosciuto l’Urbex

 … mi sono imbattuta per caso in alcune foto Urbex ed è stato amore a prima vista. Ma… c’era un ma: una donna, per di più da sola, non può sanamente pensare di approcciarsi a questo genere fotografico. Era il 2017… E’ stata dura, mi ci sono voluti 2 anni per riuscire ad entrare nel giro e trovare finalmente qualcuno di fidato a cui aggregarmi e da cui avere qualche coordinata, ma il non aver mai mollato mi ha ampiamente ripagata.

 Cosa è per te l’urbex, cosa ti piace e non ti piace

Letizia Battaglia diceva che “la fotografia deve raccontare il tuo dentro senza che tu lo voglia raccontare”. Ecco, l’urbex rappresenta tutta la mia introspezione, il mio “mondo fuori dal mondo”, in questi silenzi ritrovo me stessa e penso che attraverso i miei scatti si possa comprendere un po’ di me. Mi piace immergermi in queste stanze intrise di memorie e provare ad immaginare le vite di chi ci ha vissuto. Ciò che non sopporto è la mancanza di rispetto che troppa gente mostra varcando la soglia di questi luoghi, gente che si crede Banksy e arriva con bombolette spray a deturpare ogni parete. E l’ormai classica corsa al posto più gettonato del momento, spesso solo per pubblicare la foto cartolina che fanno tutti e poter dire “Io ci sono stato”.

 Che luoghi preferisci esplorare

La mia passione iniziale sono stati gli istituti psichiatrici, perché emozionalmente sono molto forti. Strada facendo però ho scoperto tante altre realtà: case dove mobili e oggetti ti fanno “sentire” l’anima di chi le ha abitate; siti industriali che fra macchinari arrugginiti e muri scrostati riescono ancora a raccontare di chi ci ha lavorato; e i borghi abbandonati dove rivivere, porta dopo porta, le immense tragedie che li hanno colpiti.

Foto o video

A volte sono stata attirata dall’idea di fare qualche video, è sicuramente un modo più semplice e soprattutto più veloce (spesso anche troppo) per raccontare ciò che si vede, ma alla fine preferisco sempre la fotografia: più di una volta riguardando l’immagine, ho scoperto dettagli che al momento dello scatto, presa dal soggetto principale, non avevo nemmeno visto. Scattare è un’emozione diversa, è un voler fermare il tempo attraverso l’obiettivo, è come se ciò che sto inquadrando mi dicesse: “Guardami… sto per scomparire… dammi voce ancora per un attimo”.

Qual è il tuo stile di ripresa

A meno che non sia strettamente necessario, prediligo il taglio orizzontale. Mi piacciono molto i dettagli ma credo che, seppur bellissimi, a volte se non contestualizzati rischiano di perdere di importanza. Perciò inizio sempre con il grandangolo riprendendo le stanze nel loro insieme, per cercare di far vivere il contesto a chi guarda l’immagine, in un secondo tempo cambio obiettivo e fotografo i dettagli che più mi hanno colpito. Unico neo di questo metodo è che tante volte non si ha il tempo di fare un secondo giro e così capita che mi perda qualcosa

L’emozione più bella e quella più brutta facendo urbex

A parte l’ovvia emozione del primo urbex, credo che quella più bella sia sempre la prossima: l’esplorazione potrà essere più o meno esaltante, ma l’emozione che si prova davanti ad ogni ingresso non cambia mai. Fortunatamente non mi sono mai imbattuta in situazioni spiacevoli, solo ritrovamenti di carcasse di animali che mettono solo tristezza e qualche incontro ravvicinato con le forze dell’ordine, ma a chi non è successo facendo urbex?

Che consigli daresti a chi vuole iniziare 

Di cambiare genere, che qui siamo già in troppi. Battute a parte, di armarsi di tanta pazienza perché nulla arriva subito; di non avventurarsi mai da solo perché i pericoli sono tanti; ma soprattutto di avere tanto, tantissimo rispetto: quello che ci troviamo di fronte o gli oggetti che tocchiamo, indossano l’anima di chi li ha vissuti, hanno una storia che noi possiamo solo tentare di raccontare; e se a volte viene voglia di “prendersi” un ricordino, non facciamolo… è da sempre parte di quel luogo, e il suo “sempre” è lì, non a casa nostra.

 

Ci riconosciamo parecchio nelle cose che ha detto Monica. Ed ora la parola alle sue fotografie.

 

SOTTO: LINK ALLA PAGINA FACEBOOK DELL'AUTRICE